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Quando correre non andava di moda...


06 febbraio 2017

Ho ricordi di aver iniziato a correre per sport che avrò avuto circa  quattro anni giocando a pallone con i ragazzi più grandi del quartiere, in un campo incolto dietro la chiesa del mio borgo in fondo alla via dei nonni, in una zona oggi satura di complessi residenziali.
Era metà anni 80. Da allora la corsa ha accompagnato ogni fase della mia esistenza, con poche sporadiche pause, tipo un crociato da aggiustare o altre convalescenze.

Ha significato tantissime cose correre. Innanzitutto la possibilità di uscire e osservare il mondo che ti circonda, da vicino. Una campagna, un centro abitato, un fosso, una zona industriale, un argine di un fiume, una spiaggia. Ovunque sapevo di pernottare per qualche notte, ho portato scarpe e tuta per approfittarne anche di una sola mezzora. Cortona, Parma, Morrocoy, Ko-Samui, Posina, Casalmaggiore...e poi chissà dove non ricordo, perché non si parla di questi anni recenti dove appena si ha il tempo di correre dietro casa, ma di anni 2000, anni 90, anni 80.
Correre ha significato evasione, curiosità, e tanta, tanta spiritualità. Le più belle sensazioni di estasi nella mia vita le ho provate pregando, correndo, e in un mix delle due cose... ossia ballando.
Correre ha anche significato profonda disciplina verso se stessi, perché per correre come dio comanda devi rispettare riposo e dieta. Appena adolescente, la corsa ti induce a farti una cultura strepitosa su alimenti, nutrizione, fisiologia del ritmo sonno veglia. La corsa ti insegna ad essere davvero medico di te stesso già in giovane età.
E così correre può diventare questione di vita o di morte, tanto che arrivano i giorni che senti che se non esci a correre, potresti dare di matto, vedendo i muri di casa come una gabbia.

Ora potrei stare ore a dire cosa rappresenta per me la corsa analizzando come è evoluta nei decenni della mia vita. Vorrei invece fare anche alcune considerazioni su come ho visto evolvere la corsa da parte della società in questi stessi decenni. Perché emergono atteggiamenti umani davvero curiosi e indicativi di tante accezioni tutt'altro che... sportive.

Negli anni 80-90-2000 uscire per farsi una corsa era una pratica esclusiva di qualche giovane sportivo che andava ad allenarsi. D'inverno si vestivano tuta e scarpe da ginnastica vecchie (quelle non più buone per andare a fare ginnastica a scuola) e via... l'aria fredda che passava sulla pelle sudata tra quei larghi manicotti pochi l'hanno sperimentata. D'estate poi bastava un paio di pantaloncini corti e maglietta (ed esteticamente quelli di quegli anni non erano proprio il massimo da esibire!). Insomma andare a correre in quegli anni era una pratica riservata a pochi temerari con lo spirito di Rocky Balboa (vedere una ragazza correre negli anni 80-90 era un miraggio...).

Negli ultimi dieci anni invece c'è stato un fenomeno che ha rivoluzionato tutto. Un fenomeno che strano a dirsi non ha nulla a che fare con lo sport in sé, ma puramente stilistico. L'entrata in commercio di indumenti sintetici per lo sport ha stravolto l'immaginario collettivo, portando un'intera generazione di più o meno giovani, senza distinzioni di sesso, a praticare il jogging o il running.
L'allestimento di tute e scarpe tecnicamente all'avanguardia e molto confortevoli ha dato slancio a un'iniziativa banale che prima per molti era solo un tabù, ossia uscire per farsi una corsa! Inutile negarlo che dal punto di vista estetico questo vestiario è davvero allettante. Elasticizzato, permette di mettere in mostra forme e linee. Colorato poi di vivacissimi colori diventa divertente e piacevole indossarlo e vederlo indossare. Si può ben capire quanto sia occasione stimolante per la mente esibizionista dell'uomo contemporaneo, uscire così vestiti per andare a farsi una corsa o anche solo una camminata.



Fatto è che le corse dietro casa in appena un decennio hanno tanto preso piede (letteralmente!) che sono esplose ovunque iniziative ludico-sportive più o meno dilettantistiche in materia di running, coinvolgendo decine, centinaia, migliaia di persone.
Insomma è bastato rivoluzionare il modo di vestirsi, per rivoluzionare in senso globale la percezione che si ha di una delle cose più belle della vita: correre!

Ben venga tutto questo dunque. Purtroppo però, non è tutto oro quello che luccica. Persino nelle più banali questioni sportive (e questa non è la globalizzazione bellezza, ma l'economia della finanza)

Occorre rendersi conto che l'elastano, come ogni altra fibra sintetica usata per questo genere di indumenti, ha un impatto ambientale tremendo. Praticamente le sostanze sintetiche che vestiamo da decenni, sono anche sostanze che finiscono in forma microscopica nelle acque dopo i lavaggi, e nell'aria una volta smaltiti in inceneritore. Finiscono sul lungo periodo anche negli alimenti giacché l'aria e l'acqua sono in continuo riciclo con la terra. Negli acquedotti ormai allarmano sempre più non solo i livelli di metalli pesanti, ma anche di sostanze plastiche. La generazione del pile deve ancora rendersi conto del prezzo che pagherà la moda sintetica... in termini salutistici.
Ad esser precisi ci sarebbe da considerare anche l'effetto tossico diretto subclinico al contatto diretto, ma non è questa la sede per tali approfondimenti.

Allora c'è da chiedersi: possibile che nel III millennio una rivoluzione tanto bella quanto quella che porta intere comunità a movimentarsi, debba essere un camuffamento di sostanze tossiche? Possibile che si debba essere causa di inquinamento persino attraverso banali pratiche sportive?
Possibile che non ci siano le vie giuste per vivere in modo rispettoso della natura?
Evidentemente c'è soluzione a tutto questo da ben prima che iniziasse il problema, ma altrettanto evidentemente non se ne ha consapevolezza.

Ulteriore prova di tale inconsapevolezza, è stato osservare in questi decenni un altro aspetto inquietante del running moderno. Lo racconto con un aneddoto. A metà anni 90 un amico di famiglia, in viaggio, lamentò il lutto improvviso di un carissimo amico di lui. "Stroncato da un tumore fulminante che gli ha preso i polmoni. E pensare che non beveva, non fumava, e ogni altro giorno macinava chilometri correndo...vedi che assurda la vita?". Ero adolescente e questa disgrazia mi toccò molto perché lo trovavo un inspiegabile controsenso. Fu poi studiando dieci anni dopo la fisiologia del sistema respiratorio all'Università che capii: la sfortuna della vita di quel tale fu praticare jogging in pieno centro di una delle metropoli più inquinate del mondo già a metà anni 90.
Le PM10 che respira un runner tendono infatti ad entrare molto in profondità alveolare, e a concentrarsi in quantità molto più grandi a livello polmonare, che non in un comune passante con respirazione superficiale. Per assurdo allora, esistono quotidianità nelle grandi città dove può risultare più deleterio e malsano fare sport che non avere vita sedentaria!
Quanto diffusa oggi, a distanza di vent'anni, è la pratica di andare a correre proprio nelle ore serali, a fine giornata lavorativa, quando l'aria è carica di smog dell'intera giornata? E quanto pericoloso può essere correre persino nelle periferie di campagna, sempre più trafficate e dove tra l'altro stanno spuntando da anni impianti a biogas con digestati di dubbia origine?
Molto meglio preferire dunque le prime ore del mattino per andare a correre. Non c'è un gran pubblico cui esibire un completo sgargiante da running... ma la fatica di alzarsi prima è compensata dall'aria più salubre, dalla quiete mattutina, e talvolta da un'alba mozzafiato.

Concludere questa disamina con "si stava meglio quando si stava peggio", quando cioè farsi una corsa con tute sgualcite di cotone era una sfilata non proprio di moda che pochi avevano il coraggio di intraprendere, beh sarebbe riduttivo e da stolti.
Dovremmo pretendere di vivere in una società dove chiunque, maschio o femmina, giovane e meno giovane, si sente a suo agio a correre in qualsiasi ora della giornata e al massimo dei confort, tecnici ed estetici, ma completamente ecocompatibili e sostenibili.
Il prezzo da pagare per avere tutto questo invece, purtroppo, è enorme. Perché prevede un cambio di mentalità totale nel concepire la produzione, il consumo, il tempo, il lavoro. E questa sì, purtroppo, ancora oggi, non è una corsa per tutti.