15 dicembre 2025
La premessa di questa disamina sarà partire dalla
conclusione: in che senso questi tre distinti fenomeni sociali-antropologici
devono essere considerati fenomeni di distruzione di massa, alla stregua di
un’arma?
La
“distruzione di massa” è un concetto che ha preso origine dall’evoluzione delle
armi da fuoco nella prima metà del XX secolo, quel Novecento che per pura
questione di progresso tecnologico, non di inclinazione umana, ha partorito le
prime due guerre mondiali della storia dell’umanità, con la decimazione di
decine di milioni di individui nell’arco di appena un trentennio.
Da notare però che l’arma di distruzione di massa per eccellenza da allora è
considerata quella atomica, che fu sperimentata per la prima volta al termine
del secondo conflitto mondiale. A fronte di un totale di quasi 70-90 milioni di
morti tra il 1914-1945, caduti sotto armi da fuoco per così dire tradizionali,
le due singole bombe atomiche cadute in due giorni distinti nell’agosto del 1945
si stimano responsabili di 150-250 mila morti.
Da specificare infine che in entrambi i due conflitti mondiali le vittime
civili sono state il 60% circa delle vittime totali, mentre le vittime civili
delle due atomiche furono praticamente il 100% .
Alla luce di questi numeri e soprattutto di quelli delle guerre successive,
l’azzardo della sperimentazione dell’arma atomica sembra aver cambiato la
storia dell’umanità in modo paradossale.
Perché se da una parte dapprima i vincitori e successivamente molte altre
potenze in giro per il globo si dotarono di arsenale atomico, come deterrente o
per rincorsa a una supremazia militare, ebbene pur non essendo state mai più
usate a causa delle note conseguenze globali, le guerre con armi tradizionali
nei decenni successivi non si sono certo risparmiate, e non serve analizzare le
percentuali per ipotizzare che le loro vittime siano sempre state, in maggior
parte, civili.
Cosa possiamo già dedurre dunque da questa fenomenologia? Evidentemente che
dalle 8.15 del mattino di quel 6 agosto 1945 di Hiroshima, chi governa
l’umanità ha preso una consapevolezza ben precisa: ogni guerra sarebbe stata
una potenziale occasione per decimare l’umanità.
Dall’altro lato invece non è ben chiaro quanto chi è governato abbia preso
consapevolezza di come ogni guerra, da allora, sia occasione per appropriarsi
come da tradizione di ricchezze e territori degli altri, ma anche per decimare
l’umanità con le sempre più potenti armi tradizionali coperte dal deterrente
nucleare, magari in modo fine a stesso ad esempio con moventi di genocidio mai
passati di moda, magari con secondi fini economico-finanziari anche non
strettamente vincolati all’acquisizione di ricchezze e territori. Ad esempio
controllando la ricostruzione dopo la distruzione, i consumi di massa, la
speculazione derivata da vincoli commerciali.
Ma alla luce di questa consapevolezza delle autorità governative accompagnata
da una indefinita inconsapevolezza delle masse governate, le prime sembrano
aver preso una ulteriore consapevolezza a discapito delle seconde. Ovvero che
il controllo sulle seconde deve essere condotto sempre più svincolato da mezzi di
coercizione fisica, quali sono sempre state le armi anche sotto la veste
istituzionale dell’ordine pubblico.
Questo perché dalla seconda metà del Novecento, qualora il malcontento popolare verso le autorità si fosse manifestato in stile rivoluzione americana o francese, di mezzo non ci sarebbero più state barricate con moschetti e spade. Ma armi di distruzione di massa.
La coscienza collettiva quindi in epoca post-atomica ancor più rispetto al
passato doveva evolvere sotto stretto controllo delle istituzioni esistenti,
pena la loro sopravvivenza. Doveva, e si poteva. Come ha dimostrato l’uso dei
moderni mezzi di comunicazione di massa sviluppatisi di pari passo alle
tecnologie militari. Regimi totalitari e democratici nella prima metà del Novecento, per
indottrinare ideologicamente o veicolare consumi e tendenze, hanno fatto a gara
su chi meglio ha sperimentato i primi prodotti cinematografici e
radio-giornalistici, poi sintetizzati e condensati nella seconda metà del
Novecento nello strumento rivelatosi strutturalmente antenato dei moderni
smartphone, ovvero la televisione (cosa sono gli smartphone infatti se non
televisori portatili, più che mai dopo che il marketing pubblicitario
finanziario si è infiltrato nel social-network?).
E’ in questo quadro sociologico che una figura folkloristica prima, una moda
musicale poi e infine un’inclinazione sessuale, possono essere considerati
fenomeni di annientamento dell’individuo e della collettività.
Addentriamoci in ciascuno di essi tentando una loro comprensione antropologica
dalle rispettive angolature spirituali, culturali e anatomofisiologiche,
evidenziandone una loro successione storica, progressiva e integrata.
Babbo Natale. Fenomeno pseudo-cristiano incubato dalla mentalità materialistica della rivoluzione industriale, e partorito alla fine della successiva epoca coloniale-positivista ottocentesca, nota come Belle époque.
Personaggio
immaginario disegnato da due grafici a tavolino a fine ‘800 (T.Nast, C.C.
Moore, 1881, fonte Wikipedia Babbo Natale), come rievocazione folkloristica
della figura di un anziano con la barba che porta doni ai bambini, associato a
San Nicola, vescovo turco del IV sec e venerato nei paesi anglosassoni come
Santa Claus (Sinterklaas), equivalente talvolta a San Martino (in Belgio) e San
Basilio (in paesi cristiani ortodossi dell’Est Europa).
Questa figura richiama anche un’antica credenza germanica che prevedeva che nel
solstizio d’inverno il dio Odino facesse una battuta di caccia con i guerrieri
morti, e i bambini lasciassero nel camino calzari pieni di paglia e verdure per
sfamare il cavallo del dio, ritrovandoli poi riempiti di dolci e regali.
Altre antiche tradizioni germaniche raccontano di un uomo santo, poi
identificato con San Nicola, alle prese con un demone che terrorizzava i
bambini (equivalente della figura folkloristica de “l’uomo nero”), e che una
volta vinto e convertito portava loro dei doni.
In epoca contemporanea, a partire dai primi decenni del ‘900, l’industria
multinazionale ha quindi utilizzato la figura di Babbo Natale per pubblicizzare
prodotti di consumo si massa, raffigurandolo nel modo ad oggi conosciuto in
Occidente. In questo processo la tradizionale veste verde delle raffigurazioni
ottocentesche, come nei “Canti di Natale” di Charles Dickens, divenne rossa in
tinta con prodotti quali ginger e coca-cola.
Questa evoluzione consumistica della figura di Babbo Natale è sincrona agli usi e costumi della Belle époque, quando l’Europa si ritrova davanti alla sfida di controllare o meno il consumo di massa di droghe leggere e alcool, espediente contro la depressione collettiva da eccesso di benessere materiale a fronte di impoverimento spirituale e morale (come testimoniato dal filone letterario dei Poeti maledetti) con grandi contraddizioni e squilibri socio-economici, sfociando nella Grande Guerra del ‘15-18, il proibizionismo, e la crisi del ’29.
La figura di Babbo Natale attraverso questo percorso mai interrotto fino ad oggi di una crisi di valori religiosi, etici, finanziari, risulta quindi metafora del degrado del simbolo per eccellenza del Cristianesimo (la Natività di Cristo), rimpiazzata da una figura promozionale per il consumo di beni tossici sotto molteplici punti vista, da quello nutrizionale a quello ambientale passando per quello esistenziale.
Oggi che il cerimoniale religioso del Natale in Occidente è categoricamente messo in secondo piano rispetto ai cerimoniali consumistici quali regali di natale, viaggi vacanzieri natalizi, alberi di natale e addobbi vari, paradossalmente il personaggio tanto pagano quanto cristiano che rappresentava anticamente una vittoria del bene sul male, è divenuto un simbolo che rappresenta la vittoria del male sul bene, ovvero del valore fittizio (finanziario) sul valore reale.
Un aspetto
su cui vale la pena riflettere è il piano psico-pedagogico su cui questo
simbolo impatta prepotentemente nei bambini in senso stretto e nella relazione
genitori-figli in senso lato.
In senso stretto nella mente dei fanciulli mistifica il significato della
“libertà di sognare” con l’“imposizione di illudersi”.
Babbo Natale risulta infatti una storia di fantasia inventata a tavolino dagli
adulti cui i bambini però devono credere sia reale a prescindere per
volontà-necessità degli adulti, i quali sfruttano il potere delle evocazioni
magiche negli infanti, per sentirsi in pieno governo della loro fiducia
spontanea, totale, disinteressata.
Imponendo di credere sia reale una favola inventata a tavolino, l’adulto si
sente in primis potente della capacità di illudere a proprio piacimento la
propria creatura, e in seguito quando prima o poi quella illusione sarà sfatata
(dalla società o dal genitore stesso) il genitore si sentirà potente pure di
una facoltà consolatoria sulla triste realtà scoperta, quando invece quella è
la realtà vera e propria, appositamente velata da illusioni per rafforzare, fin
dalla tenera età, rapporti di sudditanza ideologici, base per future sudditanze
esistenziali, in senso lato, tra generazioni.
Tutto ciò poiché al genitore non basta la sola sudditanza biologica,
consapevole che essa è destinata altrimenti a terminare naturalmente in età matura del
figlio senza creare alcuno shock emotivo, ideologico, esistenziale.
Ma questa dinamica sarà persino propedeutica per quel bambino per i successivi
rapporti di sudditanza cittadino-autorità, essendo i poteri autoritari artefici
di stati di necessità fiscali burocratici fittizi del cittadino
(prevalentemente di natura economico-finanziaria), su cui speculare illudendo e
disilludendo a proprio piacimento e convenienza.
La favola di Babbo Natale risulta quindi una sorta di imprinting infantile attraverso un meccanismo di sofisticazione dell’innata capacità di sognare con una sofisticata capacità di illudersi, al fine di creare un sentimento di frustrazione sulla realtà, e senso di tradimento da parte della realtà, base per futuri vuoti esistenziali, e disorientamento dei personali punti di riferimento etici e morali.
Su scala globale questo fenomeno individuale ha attuato un vero e proprio transfer di valori spirituali-religiosi in valori materiali-edonistici, spostando l’attenzione dal “perché credere in Gesù Cristo?” al più facile “credere in Babbo Natale!”, sostituendo il valore di una pesante, critica e discutibile domanda esistenziale, con una risposta leggera, indiscutibile, già confezionata, pronta all’uso-consumo.
Il fenomeno rock. Fenomeno pseudo-artistico scaturito in epoca post-atomica nel secondo novecento, conseguentemente alla rivoluzione cinematografica della società nel primo novecento.
Innanzitutto,
perché mai pseudo-artistico? Essenzialmente il “rock” è un fenomeno elettrico
applicato a uno strumento principalmente a corde e amplificato fonicamente, in
grado di generare sonorità con impatto neuro-psico-emotivo potenzialmente
devastante, in grado di creare fenomeni di isterismo di massa che
antropologicamente ricalcano in modo coerente la fenomenologia della nascita
della tragedia greca decritta da Nietzsche, ove il carico emotivo però risulta
intensificato in modo proporzionale al potenziale elettrico coinvolto.
L’artificio tecnologico alla base di questo fenomeno non dovrebbe essere
confuso con l’espressione artistica che ne è derivata lungo i decenni, e assai
variabile in stili, generi e forme, nel momento storico e nello spazio
geografico contestuali.
Canoni estetici e concettuali di tale espressione artistica non sono oggetto di
questa disamina, che non è una critica dell’arte, ma una critica di psicologia
sociale e commerciale di quel fenomeno.
Sulle
masse, nel Primo Novecento, era già stato sperimentato l’effetto
dell’informazione via onde elettromagnetiche, a partire da quelle dello spettro
radio per un’informazione acustica di massa, e dello spettro luminoso per
un’informazione di massa visiva, ovvero strumenti radio e cinematografici,
separati e poi combinati nello strumento radiotelevisivo.
L’impatto emotivo di tali novità “informatiche” è stato in grado di manipolare
mentalmente milioni di persone, tanto efficacemente da renderle disposte, per
futili motivi, a massacrarsi in ben due conflitti mondiali, contando 70-90
milioni di morti in appena 30 anni.
Nel Secondo Novecento quindi il potere evocativo su istinti e razionalità umana
di determinati strumenti di informazione di massa era già scientificamente
dimostrato e controllato.
L’applicazione dell’effetto elettrico a strumenti musicali fu introdotto in un
momento storico di pace globale post-atomica dopo la catastrofe umana globale
dell’epoca precedente, e risultò quindi strategica per conservare ed emancipare
“pacificamente” il nuovo controllo governativo sulla psicologia di massa appena
sanguinosamente conquistato.
Pacificamente nella forma, ma nella sostanza con i medesimi riscontri di
un’economia di guerra, in termini di annichilimento psico-emotivo
dell’individuo e di destrutturazione sociale.
Infatti, le atmosfere evocate dal fenomeno strumentale elettromagnetico “rock”
si sono combinate perfettamente con le atmosfere da realtà aumentate della
psiche sotto effetto di alcool e droghe.
Quelle sostanze sperimentate in massa in Occidente fin da fine ’800 sia a scopo
ricreativo che a scopo militare (quali cocaina, alcol, assenzio, oppio,
morfina, amfetamine), a partire dagli anni ’50 del secolo scorso sono risultate
perfette per l’evasione mentale (trip, estasi artificiale) dalla nuova
realtà vissuta in boom economico post-bellico, di un’epoca che possiamo
considerare una sorta di “analogica nuova belle époque” (decenni
’50-’80).
Sul piano creativo, risultò quella una realtà vissuta da cui
sentire sempre più il bisogno di evadere, poiché appositamente resa, da
politiche economiche e sociali mirate, sempre più monotona, vuota di
opportunità lavorative misurate sul valore umano invece che sulla esclusiva
speculazione del reddito finanziario, quindi realtà indirizzata solo a profitti
lobbistici-istituzionali (fatturati e PIL), ove scopi superiori di solidarietà,
condivisione e partecipazione sono sponsorizzati limitatamente a finalità di
marketing.
Sul piano ricreativo, di riflesso, risultò una realtà vissuta senza
altra alternativa da fruire oltre alla virtualità pseudo-artistica
preconfezionata a tavolino in prodotti video-sonori di intrattenimento,
promossi e finanziati come unico modello ideale di realtà da sperimentare,
ovviamente fruibile a pagamento.
Realtà vissute, dunque, rimpiazzate da realtà virtuali, con una convenienza
biunivoca.
Per il cittadino-consumatore-spettatore la somministrazione è passiva,
sperimentabile solo con i sensi, e non richiede impegno intellettuale e dedizione
spirituale (come richiederebbe qualsiasi altra attività pratica attiva, dove
interesse, impegno e spirito critico si seminano, si coltivano, si raccolgono,
si condividono).
Per le autorità governative-commerciali dall’altro lato, il prodotto artistico
vero e proprio scaturito dal fenomeno pseudo-artistico, emergendo dal singolo
talento vincolato a contratto esclusivo con i circuiti mass-mediatici
monopolizzati da poche istituzioni e multinazionali, può essere facilmente
protetto e monitorato senza alcun inconveniente, prima di essere standardizzato
e venduto.
Il
fenomeno rock con queste potenzialità è stato indirizzato quindi a innescare
disastri sociosanitari e sociali.
Innanzitutto veicolando messaggi subliminali per mettere in crisi sistemi di
valori universali all’insegna dell’anticonformismo, sponsorizzando
paradossalmente il pensiero di un unico conformismo ai cliché dell’informazione
di massa: conformismo alle disinibizioni sessuali, conformismo alla
mercificazione del corpo, conformismo a mode e tendenze anarchiche e libertine
decise a tavolino dalle multinazionali del marketing, e promosse dagli idoli
dello star-system a loro libro paga.
Un’espressione
artistica tecnologicamente avanzata è diventata in questo modo veicolo per
infiltrare nuove ideologie, con nuovi sistemi di valori etici e morali, nuovi
consumi, contro i più elementari principi di prevenzione igienico-sanitaria: si
pensi alla promozione pubblicitaria di bevande alcooliche e tabacchi tra gli
anni ‘60-’90, alla propaganda di libertà sessuali con conseguente piaga di
pandemiche immunodeficienze acquisite, concomitanti a un consumo sempre più
globalizzato e localizzato di droghe leggere e pesanti, di cui i più perfetti
testimonial sono stati ovviamente gli idoli del rockstar-system.
Cavie questi ultimi per operazioni di dissonanza cognitiva di massa, in quanto
vittime fisicamente di questo sistema tossico, e primi attori nelle campagne di
sensibilizzazione contro quei medesimi prodotti tossici.
Questo per la lucida consapevolezza della macchina finanziaria multinazionale
con i fili del sistema, che il business di quei consumi può essere alimentato
dai fan che imitano in massa i vizi e gli stili di vita dei loro beniamini,
salvandosi contemporaneamente l’immagine sensibilizzando a fare il contrario in
qualche evento, raccolta fondi o campagna contro quei veleni.
La Sodomia. Fenomeno pseudo-copulativo privo di finalità riproduttive, nato in epoca antica come pratica di tortura ed evoluto come perversione sessuale lungo la storia della società umana.
Criminalizzato o tollerato a seconda dei contesti geografici e temporali,
dibattuto in epoca contemporanea post-moderna con la promozione ideologica
occidentale di multiple identità di genere, coerente con l’istituzione di una
società digitale “fluida” (Z. Bauman). Proseguendo sul piano storico-tecnologico analizzato per il fenomeno rock,
l’informazione via onde elettromagnetiche è evoluta in epoca post-moderna oltre
lo spettro delle onde radio e del campo visibile delle tecnologie analogiche
novecentesche, utilizzando lo spettro delle microonde nelle tecnologie digitali
del XXI secolo.
Compare
internet a fine anni ’90 come tecnologia di nicchia intellettuale, e non
scompare più, divenendo fruibile a portata di mano 24h in circa un decennio.
Perfetto per un potenziale indottrinamento permanente aggiornato in tempo
reale, e manipolazioni mentali su larga scala dirette, personalizzate, in
divenire con l’utente che cerca risposte e certezze illudendosi siano soluzioni
a paure, angosce, vuoti esistenziali innati, mentre come da tradizione
novecentesca consolidata, sono create a tavolino da chi controlla la fonte di
quelle creazioni, e vende quelle soluzioni.
Soluzioni-risposte a problemi-domande infatti creati di proposito con politiche
finanziarie mirate, con il valore aggiunto della fluidità: soluzioni-risposte
cioè fatte apparire temporaneamente realistiche, in alta definizione, sotto
forma sia di contenuti virtuali di intrattenimento piacevoli,
gratificanti, rassicuranti, da aggiornare fluidamente su uno schermo non appena
risultano noti, passati, noiosi. Sia sotto forma di contenuti reali in
pratici interventi sociali, sanitari, militari (ad esempio bonus economici,
trattamenti sanitari obbligatori, strumenti di controllo sociale o di sicurezza
armata, possibili da monitorare e attuare solo con una capillare rete
informatica digitale).
Tra gli anni ‘90-2020 con l’introduzione dei suddetti contenuti virtuali
digitali si vive in Occidente una sorta di “digitale nuovo decadentismo”,
in linea con una sindrome collettiva globale da
depressione-apatia-schizofrenia (già definita sindrome DAS teorizzando la
pervertitocrazia, 2015).
Sindrome a quanto pare a decorso acuto-subacuto in progressione dagli anni 2020
ad oggi, tra globali pandemie para-scientifiche, riarmi multi-nazionali di
eserciti sia regolari che mercenari in vista di potenziali terze guerre
mondiali, istituzionalizzazioni di aborti precoci da pillola del giorno dopo e
suicidi assistiti.
Nella società fluida rimane consolidata la simbiosi, emotivamente avvincente e
mentalmente stravolgente, tra atmosfere da realtà aumentate della psiche
sotto effetto di alcool e droghe e fenomeni pseudo-artistici tipo
rock-punk-grunge-trap. Ma si è andati oltre.
La crisi esistenziale indotta dalle interferenze artificiali di indottrinamento
sulla naturale identità di genere, richiede interventi medici (trattamenti
ormonali, psicofarmaci, cicli di sedute psichiatriche) e chirurgici (chirurgia
estetica, chirurgia genitale).
Per cui, rispetto alla fine del II millennio, nella società fluida è notevole
il salto di qualità-quantità riguardo la profondità di azione “informatica” ad
ogni livello umano: individuale, sociale, finanziario, istituzionale.
Questo inquadramento socio-tecnologico della società fluida, con una realtà
vissuta artefatta e artificiosa (quindi oltre il concetto di pseudo-artistico)
riproposta in alte definizioni di “virtualità aumentate” parallele, è premessa
necessaria per riflettere sul campo fisiopatologico del fenomeno
socio-etologico cardine di questo modello: la sodomia.
In termini evolutivi oggettivi, si dimostra che la sodomia non può essere
considerata atto fisiologico, ma patologico, poiché la natura ha evoluto
in modo esclusivo e categorico separatamente gli orifizi estremi del cavo
digerente (bocca e ano) procurando vitale piacere per una progressione in
entrata-uscita unidirezionale di entità materiali-energetiche; oppure esistenziale
dispiacere (con pericolo di morte) in caso sia forzata la direzione opposta.
Cosicché in condizioni psicofisiche sane (normali) risulta
piacevole deglutire cibo, spiacevole vomitarlo; piacevole evacuare materiale
biologico quali feci-urina, spiacevole trattenerli oltre il fisiologico
necessario.
Per questi
elementari criteri evolutivi, in condizioni naturali fisiologiche, è scontato
ed evidente che risulta oggettivamente spiacevole e doloroso applicare una
penetrazione su un orifizio programmato biologicamente per espellere (basti
pensare alla proverbiale antipatia per una banale somministrazione farmaceutica
in “supposta”).
Programma biologico, per consolidare questa vitale naturale direzione, quindi
evoluto in mezzo miliardo di anni (comparsa degli Anellidi), e tuttavia negli
ultimi millenni nella società umana si è sperimentato contrastare questa
fisiologica predisposta direzione, probabilmente per ancestrali
necessità di relazioni sociali di sudditanza psico-fisica (talvolta
impropriamente spacciate per comportamenti di dominanza gerarchica animale, ma
che qui non approfondiremo).
Questa sperimentazione che ha condotto l’umanità, in alcune realtà sociali, a
percepire l’atto come godimento, deriva probabilmente da una deviazione viziata
del fisiologico piacere sessuale del mondo animale, attraverso un cortocircuito
neuro-psichico di cui ora si tenta una sintetica spiegazione fisiopatologica.
Risulta infatti che il circuito neurale vegetativo-psicologico alla base
dell’istinto, dell’attrazione e dell’appagamento sessuale generato dai
genitali, condivide la sede neuro-anatomica di quello delle ultime vie
enteriche (segmento midollare spinale lombo-sacrale, vie di innervazione
retto-urogenitali).
Cosa questa,
evoluzionisticamente parlando, prodigiosamente sensata. Perché le due
motivazioni biologiche cardinali di sussistere (nutrirsi-evacuare) e
riprodursi, conveniva evidentemente che condividessero le medesime strutture
anatomiche, trattandosi di apparati e organi con circuiti riflessi e meditati estremamente
complicati e raffinati nel loro collaudo, ed evidentemente è occorso farli
evolvere in modo singolo per una doppia funzione.
Quindi è altamente plausibile, e comprensibile, che la forzatura di un
comportamento sessuale (quale la penetrazione) in una sede non sessuale (quale
quella anale-rettale) generi, dopo discutibili indottrinamenti, addestramenti,
o coercizioni, l’interpretazione viziata come piacere, di ciò che
originariamente risulta spiacevole, oltre che inevitabilmente dannoso a un
qualche livello macro o microscopico (per mucose, plessi emorroidali e
linfonodali), e a un qualche livello psicologico inconscio andando contro
l’evoluzione naturale psico-fisica dell’ultimo mezzo miliardo di anni.
Conclusioni
Il fenomeno Babbo Natale, il fenomeno rock e il fenomeno
promozionale della sodomia come ideologia “fluida”, sono stati qui analizzati per mettere in luce caratteristiche
che possono essere paragonate ad armi di distruzioni di massa, prendendo di
mira, al fine di mistificarli e annientarli, valori universali come quelli
etici e spirituali della religione cristiana, dell’arte intesa come fonte di
catarsi individuale e collettiva condivisa, e dell’intimità sessuale in senso
fisiologico.
Attraverso questi tre canali l’individuo, e di riflesso la collettività,
possono essere guidati (telecomandati) all’auto-distruzione. Processi quindi
di cui si propone questa visione alternativa per stimolarne eventuali altre,
possibilmente migliori, evoluzioni.