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Riflessioni sul film Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità

06 gennaio 2019

L'unico filone che ancora resiste alla mia allergia per i prodotti cinematografici è quello storico-biografico, e alla vigilia di questa epifania mi son ritrovato proposti personaggioni come Freddie Mercury e Vincent Van Gogh. Un appassionato di cinema dirà che sono appuntamenti imperdibili entrambi. Invece ho boicottato il primo e ad occhi chiusi (anche fisicamente parlando per un frangente di secondi durante la proiezione) sono andato sul secondo.
Considerando che l'ultimo film che ho visto al cinema prima di questo risulta il "giovane favoloso" Elio Germani che interpreta il sommo Leopardi (2014....a sottolineare la mia allergia al grande schermo) partivo comunque rassegnato che mai avrei raggiunto godimento intellettuale pari a cinque anni prima.
Invece la sorpresa è stata notevole, e ha suffragato perfino il mio boicottaggio alla rivisitazione del vecchio buon Freddie.

Innanzitutto allora perché boicottare Freddie? Per due personali pregiudizi. Il primo la convinzione che qualsiasi magistrale interpretazione avrebbe comunque scalfito l'immagine che ho dell'originale, fosse anche marginalmente. Questo margine non me lo gioco per nulla al mondo visto la perfezione della personalità artistica di Mercury che ho nei miei lontani sacri ricordi adolescenziali (e con personalità artistica intendo il suo modo di suonare ed esibire lo strumento vocale). Figurarsi poi farsi somministrare per un paio d'ore di film tutta una serie di messaggi più o meno subliminali inerenti il mondo della droga o dei gusti sessuali "alternativi" di un vip, o tutto quello che viene miratamente reinterpretato della vita privata di questo artista per inculcare, di nuovo, quanto controcorrente e quindi "fico" deve essere in fondo in fondo bere, fumare, drogarsi e provare brividi sessuali "alternativi" proprio come fanno le super-star (tanto per le leggi dello #StarSystem camuffare pratiche tossiche o deviate come fichissime mode controcorrente è un gioco da ragazzi). No grazie. Mi tengo già la mia pena nel pensare quel talentuoso uomo rovinato prematuramente da un sistema finanziario perverso che specula sulle doti naturali dell'individuo, e sull'idiozia di massa del pubblico, annientando l'uno e l'altro.

Ebbene la sorpresa è stata riscontrare molti di questi aspetti anche nella proiezione su Van Gogh, ma in chiave intelligentemente critica, e per di più in modo disinvolto (ma forse perché si parla di una società ormai passata ed è difficile carpirne parallelismi e continuità con la contemporaneità).
Ci sono dettagli in tutto il film che denunciano secondo me tutta la perversione socio-economica dell'epoca, e cosa ancor più sorprendente perfino quella scientifica e non tanto da un punto di vista metodologico (i limiti della "scienza positivista" sono ormai scontati) quanto di scopi e principi ancora oggi in voga. In particolare ci sono due dialoghi che esprimono bene tutto questo. Uno del protagonista con il medico curante, l'altro del protagonista con un sacerdote. Entrambi, medico e sacerdote, autorità preposte all'epoca -e nel film- a giudicare il suo stato psicopatologico. Medico e sacerdote, non a caso i due lati della stessa entità antropologica che impersonano da millenni il modello di "sanità" fisica e spirituale, e che l'umanità sta piano piano sempre più "smascherando" insieme al concetto stesso di autorità, superando i modelli "rappresentativi" del potere delegato a persone (e delegando il potere invece alle idee delle persone, denudate dei loro abiti autoritari, finalmente uguali in diritti e doveri, gli uni verso gli altri, e libere di esprimersi e condividere cose ed idee -questo è la democrazia diretta, questo è internet delle cose). Ora non saprei riportare a memoria questi due dialoghi, se non alcuni spezzoni di quello avvenuto con il medico e di cui tento di riportare i concetti che mi sono rimasti impressi.

Medico: Sicché tu credi che la gente intorno sia infelice, e guardando i tuoi quadri possa diventare felice? Tu sei convinto che li rendi felici facendogli vedere i tuoi quadri?
Pittore: Sì. Ne sono sicuro. Credo esattamente avvenga così.
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Medico: Beh è davvero orribile questa idea che hai della società caro Vincent....
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Medico: Ti voglio dare l'opportunità di andare in una nuova casa di cura (manicomio) però volontariamente. E dovrai fare esattamente ciò che ti dicono, smettere di bere (drogarti di assenzio) e prendere i farmaci.

Ecco in questi contesti vedo emergere tutte le caratteristiche della società dell'epoca, che è tutt'uno con il dramma del protagonista e la denuncia del film (più o meno volontariamente). La Belle Époque al suo culmine che comincia a nascondere gli scheletri dentro l'armadio. L'impressionismo che si trasforma in espressionismo passando anche attraverso Van Gogh. Belle Époque grazie all'economia del commercio colonialista e commercio finanziario appena nato che ha prodotto il consumo di massa di nuove classi sociali (borghesia, proletariato, classe dirigente). Praticamente nuovi servi e nuovi padroni dopo l'abolizione della schiavitù in catene, per rendere tutti schiavi (il ricco quanto il povero) del denaro, nuovo strumento di dominio. Belle Époque grazie al consumo globale di droghe leggere e pesanti per pure speculazioni finanziarie dell'élite dominante, che oggi muove guerre in nome del petrolio e cocaina come ieri le muoveva per il commercio di tè, caffè, oppio (ricordiamo che furono ben due le "guerre dell'oppio" all'epoca di Vincent, mosse da "sua maestà imperiale britannica" alla Cina affinché i cinesi consumassero, ossia comprassero, oppio). Caratteristico del film a tal riguardo è un soggetto psicolabile in "cura sperimentale" che ripete in modo paranoico "Caffè. Caffè. Caffè". Abbastanza scontato ma neanche troppo è che a rendere schizofrenico Vincent al punto tale da indurlo a violenza incontrollata fino allo stupro è l'uso ricreativo di assenzio e alcool, tipico dell'epoca. Ma la domanda vera, su cui si gioca presente, passato e futuro passando per la nostra quotidianità, a questo punto è: Van Gogh avrebbe raggiunto le sue ispirazioni ed espresso la sua arte anche senza questi abusi, o il valore aggiunto all'arte è grazie a queste sostanze? In merito non ripeto qui ora il mio punto di vista già espresso parlando di John Lennon in un post dedicato proprio alle droghe qualche anno fa. Qui esprimo solo la mia soddisfazione nel veder trattato l'argomento nel film in modo molto trasparente, mostrando la realtà storica del tempo e lasciando allo spettatore tutte le analisi e riflessioni del caso. Questo in merito i molteplici lavaggi del cervello cui il comune cittadino, con il suo genio espresso o soppresso, è sottoposto in questa sempre identica economia del mercato finanziario (oggi semplicemente più maturo rispetto ad allora, e anzi forse quel tanto anziano si spera da attendere la sua ultima ora). I lavaggi del cervello di sostanze stupefacenti (droghe o farmaci che siano) quanto di autorità altrettanto stupefacenti in abito scientifico-religioso. Attori e spettatori interscambiabili del medesimo circuito consumistico.

Queste sono le considerazioni che ci tenevo a confidare, e confesso anche di essermi perso il primo quarto d'ora di proiezione (meno male perché magari c'erano particolari che mi avrebbero fatto scrivere ulteriormente! :P )
Dicevo all'inizio però che ho trovato anche occasione di addormentarmi, ma questo non per colpa dell'interesse tradito. Ebbene in una delle numerose scene di buio totale con il protagonista che parla, qualche secondo ho ceduto. Allora penso sia colpa di tecniche cinematografiche troppo efficaci nel rendere la psicologia disturbata del personaggio. Altrimenti l'alternativa è pensare che in certi frangenti anche il cameraman sia stato in crisi di astinenza e il musicista con un orecchio amputato.

Ora non mi resta che scegliere un'immagine per questo post. Questa penso sia ideale. Perché ci vedo un po' tutti in questa espressione. Ci vedo Vincent, ci vedo Freddie, John, e anche un po' noi, qui, intorno. Consapevoli del veleno, del marcio, dell'inganno, e pronti a cambiare direzione.