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Coronavirus-covid19 e l'epidemiologia arcobaleno italiana (01 marzo -30 aprile 2020)

01 maggio 2020


Questo primo maggio 2020 si sta concludendo dopo due mesi la fase 1 di emergenza per acclamata pandemia, e dal 4 maggio cederà il posto alla fase 2.

Analizzando i dati epidemiologici ufficiali succede di notare però che diffusione e impatti socio-sanitari di questo "nuovo" virus hanno un andamento piuttosto sorprendente.

Prima di vederli uno ad uno partiamo da alcune premesse imbarazzanti. Per conoscere la diffusione di un virus occorre poterlo identificare con un test. Per realizzare tale test, occorre prima riconoscerlo, ossia mapparne il DNA-RNA (a seconda del virus), dopodiché si crea il test che lo identifica in base al suo profilo genomico di riconoscimento (una sorta di carta d'identità). Se un test viene creato su una carta di identità approssimativa, tale riconoscimento sarà approssimativo. Occorre un riconoscimento il più preciso possibile perché sia il più precisa possibile l'identificazione (per questo deve esserne "standardizzato" il sequenziamento genomico).

Purtroppo i dati ufficiali che tra poco osserveremo, sono ricavati da indagini con test che pare non siano stati standardizzati. Ma probabilmente non si sarebbe potuto fare altrimenti, perché il virus in esame è un virus altamente variabile nel suo sequenziamento, per cui non avrebbe senso standardizzarne il test.

Veniamo dunque alle curve epidemiologiche ufficiali di questa pandemia, e vediamo cosa è emerso di sorprendente in relazione a tali test (tamponi) e più che mai in relazione alle misure adottate dalle autorità competenti (ministero della salute e taskforce governative).



Ricordiamo che il cov-2 è stato riscontrato la prima volta a Roma a fine gennaio 2020, e tre settimane dopo sono scoppiati focolai in Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna.
Nell'arco dei due mesi successivi la situazione epidemiologica è esplosa principalmente nel nord-Italia con riscontri di malati, terapie intensive e decessi che non hanno avuto uguali nel resto d'Italia.

Già questo è sorprendente. Lo stesso scientificamente ipotetico virus, in Italia contagia (positività), ammala (sindrome para-influenzale più o meno sintomatica), aggrava (terapia intensiva) e fa morire (decessi) in modo diverso non solo in base alla fascia di età ma anche da zona a zona, pur partendo con il primo riscontro di positività nel cuore d'Italia: Roma!
Ma non solo: fa disastri, lo stesso ipotetico virus, proprio al nord Italia dove la sanità è considerata un'eccellenza. Davvero sorprendente.

Affrontiamo dunque una prima panoramica del quadro nazionale emersa da questi due mesi. Già questa rappresentazione può sollevare tante perplessità. Ma è necessario prima aver ben presente cosa significa fare una media nazionale con situazioni regionali così estremamente differenti.
Facciamo allora un esempio pratico ragionando per astratto.




Distinguiamo la Pianura Padana (PP) dal resto d'Italia (RI) e trattiamole come due macro-regioni.

Supponiamo che in PP ci siano 1000 casi di covid-19, in RI 300 casi.
Per media statistica in queste due zone risultano esserci stati 650 casi.
Supponiamo ora anche che in PP ci siano 400 posti di terapia intensiva e 400 nel resto d'Italia.

E' facile rendersi conto che avere 400 posti in PP è ben più disastroso con 1000 casi reali che non con 650 casi da dato medio.
Ma pure in RI la realtà risulta mistificata dalla statistica: i 400 posti non risultano sufficienti a 650 casi medi statistici, ma lo sono ben oltre la sufficienza per i 300 casi reali.

Purtroppo l'informazione emersa è stata che questa infezione virale "è tanto aggressiva da mandare in tilt le terapie intensive dell'eccellente sanità italiana" gridando allo scandalo nazionale. Mentre lo scandalo era confinato a una specifica zona (realmente a ridosso della Pianura Padana).

Cosa ancor più sorprendente è che nel momento in cui è esplosa questa infezione in zone circoscritte si sono adottate misure per arginarla assai discutibili. Una fra tutte la distribuzione in tutta Italia dei soggetti da terapia intensiva in eccesso in quelle zone.

Sorprende non solo perché si è ritardato con le misure di contenimento dell'infezione una volta comparse poche decine di casi, ma anche perché una volta visto aumentare l'affluenza alle terapie intensive (per cause tutte da verificare) non si è provveduto ad allestirne di nuove sui territori: cosa fattibile note la tecnologia necessaria per il caso, la disponibilità di personale medico, le strutture superflue già presenti sui territori (anche senza nuove strutture da allestire in tempi record con mirate raccolte fondi).
Si è aspettato dunque che i posti di terapia intensiva si saturassero localmente per spalmare i casi in eccesso da terapia intensiva in tutto il territorio nazionale. Ma ricordiamolo, i casi da terapia intensiva infettiva sono bombe dal punto di vista epidemiologico, tanto che poi nota quota di infezioni e aggravamenti si è riscontrata nel personale sanitario stressato all'estremo dall'emergenza (e talvolta in età compromettente).


Apriamo ora una parentesi sul tema tamponi.  L'analisi riportata studia i fenomeni di contagi giornalieri, variazioni di tamponi nelle ultime 24 ore, e il loro rapporto.
Ma sorge subito un dubbio. Se è il numero di tamponi a variare, perché nel rapporto si definiscono  "nuovi contagi"? Non è forse tra contagi/nuovi tamponi il rapporto invece che tra nuovi contagi/tamponi? Anche perché la prima definizione contempla che si ripetano nuovi tamponi a contagi già confermati per vederne l'evoluzione, mentre la seconda definizione esclude questa operazione.
E' davvero verosimile che nella realtà di questi numeri siano esclusi gli ulteriori tamponi eseguiti per confermare o meno una prima positività? Questo fa molta differenza per capire se la diminuzione di contagi è dovuta all'aumento dei controlli, o se è una diminuzione indipendente dai controlli perché il virus infetta sempre meno la popolazione per un equilibrio naturale, indipendentemente dai tamponi.

Soffermiamoci invece sugli effetti dei provvedimenti governativi attuati per contenere l'infezione anche tra la popolazione sana, sempre su iniziativa di apposite commissioni di esperti. Le "taskforce" per combattere una situazione di "guerra" contro un "nemico invisibile" (chissà se anche al microscopio...) e tutta la relativa terminologia bellica per giustificare la sospensione della costituzione di una repubblica parlamentare.

Elenchiamo i vari provvedimenti a fare da paletto per questi grafici:
- Decreto Zone Rosse
- Decreto Io resto a casa
- Ristoranti e negozi chiusi
- Decreto Chiudi Italia


Possiamo forse concludere che questi provvedimenti abbiano portato risultati positivi contro diffusione, aggravamenti, decessi?
Per fare certe deduzioni occorre osservare le curve dei grafici conoscendo il tempo di incubazione delle infezioni con questa tipologia di virus.

Come riportano sempre le fonti ufficiali, si deduce che il periodo medio di incubazione sia 6,5 giorni poiché si va da 2 a 11 giorni.
E in effetti, lo abbiamo sperimentato tutti, una sindrome parainfluenzale (raffreddore) in genere si manifesta in 2-3 giorni dal fattore scatenante (il "colpo di freddo") così come l'aggravamento in influenza in altri 3-4 giorni successivi.
Purtroppo si è riscontrato che le massime autorità hanno considerato come periodo medio per avere un riscontro dei provvedimenti presi 14 giorni di incubazione... che risulta il periodo massimo!


Ma ciò porta ad una interpretazione viziata dei dati. Perché se ci si danno due settimane per interpretare dati valutabili dopo una settimana, da una parte può sembrare una scusa per prendere tempo e aspettare miglioramenti, dall'altra si rischia di insistere con misure sbagliate se i miglioramenti non arrivano nei tempi propri.

Ora tra il Decreto Zone Rosse e il Decreto Chiudi Italia ci sono 22 giorni, tre settimane ossia tre volte il periodo di incubazione medio: ebbene tutte le curve di nuovi positivi, malati e decessi si impennano. Compresi i guariti certo, ma la sanità di una società che funziona si giudica prima da quanta gente non si ammala, poi da quanta gente guarisce.
Addirittura si vede che più le misure diventano coercitive, più l'infezione, l'aggravamento e il decesso ascritto a questa infezione aumenta, e lo dimostra l'andamento perfino dopo il 22 marzo con il Decreto Chiudi Italia.

Solo dopo un mese e mezzo, verso metà aprile 2020, la situazione media nazionale da numeri drammatici ormai scoppiata sembra stabilizzarsi, e lentamente cominciano ad aumentare i guariti e a calare molto lentamente contagi, persistendo però l'andamento inquietante dei decessi.
E ora conviene fare una riflessione distinta per le varie curve.


Il grafico delle "variazioni assolute giorno per giorno", oltre che lo scoppio epidemiologico direttamente proporzionale alle misure prese, dimostra diversi fenomeni curiosi.

La curva rossa dei totali contagi dovrebbe essere sempre abbastanza parallela alla curva blu degli attuali positivi. Queste due curve si allontanano sempre di più tra loro in senso di variazione assoluta (asse ordinata).
La loro distanza aumenta a mano a mano che aumentano i dimessi-guariti/decessi (curva gialla e nera), e tale distanza indica in linea teorica la differenza tra i totali contagiati e gli attuali positivi.
La cosa bizzarra è che si osserva una certa "logica" proporzionalità fino al 5 aprile, mentre dopo quella data il netto aumento di guariti (curva gialla) e il relativamente costante numero di decessi (curva nera) sembra non accompagnare una aumento del distacco delle curve rossa e blu in modo proporzionale. Cosa che sembra avvenire coerentemente sempre a questa logica da dopo il 19 aprile (a fronte di decessi relativamente costanti e aumento di guariti-dimessi).
Andamento ancora più bizzarro infine è che il 30 aprile la curva blu di variazione positivi cala in modo drastico da un giorno all'altro! specularmente aumenta in modo drastico il numero di dimessi-guariti mentre pressoché invariate curva nera dei decessi e curva rossa dei contagi totali.

Allora viene da chiedersi: variazioni di positivi, guariti, deceduti, e totale dei contagi, in che modo sono correlati tra loro in base al comportamento dell'ipotetico virus e in che modo sono correlati tra loro dalla regolamentazione delle politiche sanitarie? 

Questa domanda è da fare soprattutto alla luce del fatto che, al di là delle bizzarrie tra il 5-19 aprile e il 30 aprile nell'arco di un giorno, il tasso di letalità dopo il Decreto Io resto a casa dell'8 marzo è impennato ed è rimasto pressoché in costante aumento fino al 30 marzo.


Se l'ipotetico virus è sempre quello nei mesi ovunque, cosa può aumentarne il tasso di letalità?
Evidentemente a determinare l'esito fausto o infausto della covid-19, potenzialmente dimostratasi più guaribile che mortale, è la conduzione sanitaria più che la malattia in sé. Ma più che le capacità dei medici, con conduzione sanitaria si intende l'efficacia delle terapie dal momento che la libertà di azione dei medici sui protocolli imposti ormai è marginale se non inesistente (tanto quanto la capacità di un farmacista di produrre e consegnare farmaci invece che rivenderli preconfezionati).
Certamente in questi esiti hanno concorso fattori mai sperimentati prima su scala nazionale, tra cui l'effetto panico indotto da restrizioni di libertà e loro pressione mediatica, l'inquinamento ambientale, o la nuova sperimentazione di farmaci più o meno noti in altri usi. Tante novità che andrebbero separatamente approfondite.

Per adesso limitiamoci alle perplessità più evidenti dal punto di vista epidemiologico in relazione anche alle misure di politica sanitaria prese.
E sul piano politico non è propaganda demagogica constatare che emerge un certo quadro analizzando da chi è governate la sanità nelle varie regioni dove il Cov-2 si è maggiormente diffuso e dove la sua Covid-19 ha portato maggiormente disastri.




Le prime quattro regioni con più alto tasso di positività sono governate da coalizioni di centrodestra (compresa la Val d'Aosta, commissariata dopo un anno di governo di centrodestra).
Tra le prime otto regioni a più alto tasso di letalità invece, cinque sono governate da centrodestra e tre da centrosinistra (e più propriamente il partito di governo nazionale Partito Democratico; compresa la Puglia con governatore in carica proveniente dal PD alle ultime elezioni).






Un'ultima perplessità epidemiologica a livello nazionale è che su un totale di quasi 90 mila casi, nel mese di aprile si sono analizzati circa 8 mila casi per ricavare questi inquietanti riscontri.
Si deve dedurre da ciò che nei Centri di Accoglienza per Rifugiati il coronavirus non ami infiltrarsi, o forse non amino le autorità sanitarie competenti andare a fare tamponi?
Rimane tra l'altro un mistero in che modo il coronavirus abbia inciso nelle comunità ROM con contagi, malati, guariti, terapie intensive, decessi.
Sembra strano non si ritrovino dopo due mesi dati a confutare una possibile tesi terrapiattista che si tratti di un virus razzista!

L'ambiente famigliare invece risulta in Italia essere molto pericoloso per la trasmissione di questo ipotetico virus, pur in isolamento e segregazione al pari di un centro di accoglienza per immigrati.
C'è poi la voce "altro", ma non è dato saperne la definizione. Forse gli ambienti di spaccio dei clandestini? Forse gli spacciatori si ritrovano protetti dall'ipotetico virus grazie al consumo di sostanze stupefacenti? Non è da escludere visto che pare emergere da talune ricerche perfino che il fumo di sigaretta protegga dal coronavirus (quasi a supporto della scelta politica di tenere aperti costantemente i tabacchini durante tutto il lockdown... probabilmente per compensare il calo del PIL?).

Sono misteri non di poco conto. Certo è sensazionale che da questo studio il fenomeno immigratorio più o meno clandestino non risulti affatto un problema in Italia neppure dal punto di vista infettivo, mentre appaia esserlo la famiglia italiana.
E' curioso perché questo non ostacola, anzi incoraggia, la famigerata migrazione sostitutiva di popoli auspicata fin dal 2001 dall'ONU (le Nazioni Unite di cui fa parte l'Organizzazione Mondiale della Sanità) per far fronte al calo demografico di un popolo talmente affossato dalle politiche di austerità finanziaria europea, da dimenticarsi perfino di fare figli.

Ampliamo dunque una veduta europea su questa pandemia?
Nel resto d'Europa la situazione epidemiologicamente appare molto più pesante che in Italia, eppure sembra non preoccupare affatto al fine di adottare misure di segregazione e isolamento sociale come in Italia. E questo al netto della propaganda main-stream che vuol fare intendere il contrario.
Ingenuità nel resto d'Europa, o accanimento psico-socio-sanitario in Italia?